“Non rientra tra le prerogative datoriali il potere sanzionatorio di tipo meramente morale nei confronti dei dipendenti, tale da comprimere o limitare spazi di libertà costituzionalmente protetti, come quello concernente la corrispondenza privata. Pertanto, la garanzia della libertà e segretezza della corrispondenza privata e il diritto alla riservatezza nel rapporto di lavoro impediscono di elevare a giusta causa di licenziamento il contenuto in sé delle comunicazioni private del lavoratore, trasmesse col telefono personale a persone determinate e con modalità significative dell’intento di mantenere segrete le stesse, a prescindere dal mezzo e dai modi con cui il datore di lavoro ne sia venuto a conoscenza”. (Nel caso di specie, la Suprema Corte ha accolto il ricorso promosso da una dipendente di una nota multinazionale di prodotti di lusso contro la sentenza della Corte d’Appello di Venezia, ritenendo illegittimo il licenziamento comminato dal datore di lavoro alla lavoratrice per aver postato sulla chat whattsapp con i propri colleghi un video di una cliente particolarmente corposa con il commento “Do u like…Ve3?”).
Fonte: Cass. Civ., Sez. Lav., sentenza n. 5334 in data 28 febbraio 2025.