“Non è requisito immanente della critica che essa sia esplicitamente costruttiva, ovverosia che evidenzi expressis verbis gli errori o i difetti altrui sì da provocare un approccio autocritico ed una ragionata revisione delle politiche di gestione aziendale, purché la stessa critica sia espressa con toni e parole non volgari e non infamanti e sia correlata ad un bene meritevole di tutela, come le condizioni dignitose di lavoro. Né la volgarità o l’infamia delle espressioni adoperate può essere misurata solo sulle immagini che esse evocano, specie ove si tratti di citazioni tratte dalla letteratura oppure dal patrimonio storico e culturale che accomuna le persone, dovendo ogni frase essere letta cercando di cogliere il significato concreto della critica espressa, risultando altrimenti la latitudine del diritto in parola dipendente da fattori del tutto estranei alla fattispecie concreta e alla volontà dell’autore della critica”. (Nel caso di specie, la Suprema Corte ha accolto il ricorso promosso dal lavoratore contro la sentenza della Corte d’Appello di Ancona, che aveva ritenuto legittimo il licenziamento comminato dal datore di lavoro al dipendente a seguito della pubblicazione sul profilo “Google My Business” dell’azienda del post “perdete ogni speranza”, dando come votazione all’azienda una stella su cinque)”.
Fonte: Cass. Civ., Sez. Lav., sentenza n. 5331 in data 28 febbraio 2025.